Martedì 04 dicembre 2012 gli studentidi classe quinta liceo incontrano il poeta Claudio Recalcati precedentemente conosciuto con una lezione preparatoria condotta da Stefano Raimondi.
“La poesia di Claudio Recalcati
NOTA BIOGRAFICA
Claudio Recalcati è nato a Milano, dove vive, nel 1960. Ha pubblicato le raccolte poetiche “Riti di passaggio” (1995), “Senza più regno” (1998) e “Un altrove qualunque”, Moretti & Vitali, 2001 supervincitore del Premio Internazionale Eugenio Montale 2002.
Ha curato, con Carlo Maria Bajetta e Edoardo Zuccato, il testo universitario “Amore che ti fermi alla terra – Antologia di voci del petrarchismo europeo”, I.S.U. Università Cattolica, 2004. Ha tradotto poeti per “Testo a Fronte” e gran parte dell’ opera poetica di François Villon, in dialetto milanese, in collaborazione con Edoardo Zuccato, “Biss, lüsert e alter galantomm”, Effigie 2005.
E’ apparso sulle maggiori riviste letterarie e sull’Almanacco dello Specchio, Mondadori 2006.
Nel 2010 ha pubblicato la raccolta poetica “Microfiabe” Mondadori - Premio Suio, Premio Tronto e Premio Badia di San Savino.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE:
OPERE POETICHE:
- Riti di passaggio, Campanotto, 1995
- Senza più regno, Campanotto, 1998
- Un altrove qualunque, Moretti & Vitali, 2001
- Microfiabe, Mondadori, 2010
PREMI:
- Riti di passaggio, Campanotto, 1995, Lions Club Salerno - Premio Alfonso Gatto, sez. inediti 1998
- Un altrove qualunque, Moretti & Vitali, 2001 - Premio Internazionale Eugenio Montale
- Microfiabe, Mondadori - Premio Suio, Premio Tronto e Premio Badia di San Savino.
POETICA:
La poesia di Claudio Recalcati è un esplodere per immagini e per ritmi continui, laceranti, dislocanti. Le sue immagini si fanno carico di molta violenza e realtà. Il suo iper-realismo si fonda su una tradizione lombarda che nella poesia ha saputo come farsi portatrice di un discorrere piatto e immediato con il proprio lettore, verso un “tu” sempre molto presente. La sua poetica si costruisce nel pensiero della riflessione e della memoria che sempre si scontra con un presente forte e incisivo. Nulla di suggestivo o sentimentale si decanta nei suoi versi lunghi e di forte spessore narrativo. Lo choc che la sua versificazione sempre produce è determinato dal dislivello che spesso Recalcati fa sorgere tra un sogno sognato e un sogno convalidato da un risveglio non sempre piacevole e confortante. La sua poesia usa metafore che vanno a chiedere eredità alla favolistica, all'infanzia come alla letteratura più cupa e misteriosa.
La corporalità in Recalcati è sempre esposta per dolore e difetto. Nulla è pienamente e suggestivamente bello nelle sue poesie, in quanto tutto passa attraverso un'orrore che fa spavento che crea spaventi di disincanto e premura. La sua poesia fa da contraltare alla consolazione. Qui nulla è consolatorio ma è espressivamente agente e forte.
È una voce originale per autenticità e colta per esperienza. Infatti il suo corso vitale lo ha portato alla poesia come ad un approdo altro rispetto alla sua vita vissuta. Impiegato di banca Massimo Recalcati riesce a rendere omaggio ad un fantasia che è sempre in credito alla sua sensibilità, lasciandoci testimonianza di come spesso il fare non collimi con l'essere.
Il suo progetto poetico da anni è cesellato dalla sua esuberante attenzione per l'evento “mondo”. Un'attenzione che si installa in un linguaggio di forte spessore espressionista, modulato su toni, a tratti, molto intensi, capaci di tratteggiare, perfettamente, la sua riconoscibile voce poetica. Il corpo è qui parte in causa e personaggio principale. Un corpo portato all'estremo dalla realtà che lo circonda e dalle situazioni che il poeta milanese vive ad un alto regime emotivo. Il cuore, il respiro, le membra colte nella loro postura coatta diventano segnavia di una riflessione/meditazione sulla condizione umana che non lascia mai nulla alla confessionalità dei propri immediati dintorni, ma si incunea in un disegno più ampio: ospitale. La sua visione del reale infatti si testimonia nell'ocularità dei dati approvati/patiti che le ore del giorno, scandiscono come fossero storie da ascoltare/apprendere, rintracciando tra esse, i microcosmi del poetico che vi si incarnano. Le sezioni/poemetti che compongono la raccolta sembrano dire la loro stortura, il loro scarto rispetto ad un tempo che Claudio Recalcati ha imparato a vivere per forza di vita, per forza di piccole interruzioni esistenziali, nelle quali egli sa sempre come valutare in termini etici e morali. Parti dialoganti che lasciano spazio ad un “tu” che sembra incontaminato e ascoltante, un “tu” al quale dedicare tempo e spazio/affetto. La tensione narrativa poi si esprime in modo originale nell'ultima sezione, intitolata “L'ortolano di Balzac” dove il plot narrativo sa tingersi di giallo e la poesia sa come sostenere, in modo equilibrato, tutto questo intrecciarsi di generi differenti. Sono anche tali sperimentazioni a fare di questa raccolta una pagina singolare della nostra poesia, sapendo bene che non si cela mai nell'assolutamente nuovo l'originalità di un'opera, ma nel suo azzardo che la sa testimoniare oltre sé stessa, oltre il proprio dintorno immediato e ovvio. Recalcati è comunque un poeta onesto e questo è forse la sua vera forza propulsiva, la sua vera liricità militante.
TEMI CHIAVE:
- Città
- Urbanità
- Corporalità
- Esistenza
- Natura artificiale
- Località rappresentate in assenza
TRE QUADRI
CONTRORITRATTO
(Cartoline dalla madia)
1
…ma depredarono il sogno che cova
nel ventre morbido della bestia,
nel cuore di ogni società che non conosce
altre regole che il baratto.
Li guardavo lavorare per me e soffrivo
ogni loro ruga incandescente, ogni ruga colmata
dalla saliva del mare, quelle tracce di sale
fra le pieghe, sui denti, sulle piaghe.
Lottavano per pochi metri di mare,
si sgozzavano in nome d’un ordine occidentale
che reclamava coralli cappio al collo
di nobili donne europee.
Non che soffrissi per quelle terre lontane ormai
come l’Italia, l’Inghilterra, la Francia era
vederli cani da caccia
contendersi la preda ed aspettare
la morte di qualcuno per sottrargli metri
di sabbia dove tuffarsi, di rocce dove rischiare
l’ultimo affondo…
2
…Erano uomini disperati e liberi,
erano uomini di poche parole… Cuba
e Libre una canzone scordata
una visione come passaggio d’alberi da un treno,
un terno al lotto se riesci a decifrare
conifere, pioppi, inganni del terreno o
resti come un demente a osservare terre,
uomini e nomi follemente illusi.
…Ma io dovevo ogni volta fustigarli
frustarli col chiaro nerbo di bue, impormi.
Sapevo che se li avessi abbandonati
sarebbero scomparse le mie glorie,
loro sarebbero tornati volentieri
all’era del baratto.
Che fosse zucchero o corallo non vi era differenza.
Non conoscendo opulenza e oro,
non conoscevano il ristoro
che tradisce le menti, l’idiozia del riposo, vivevano
in un riposo di palpebre innocenti.
3
AUTORITRATTO (Cartolina da Moltrasio)
Sapessi, sono tornato e non è molto
ma molto è mutato
il paesaggio e ben più oltre
la prospettiva.
Ricorderai senz’altro
le querce secolari,
nient’altro che una geometria
di scarni pioppi…e i riflessi?
Quanto perdersi e innamorarsi
e oggi sono chiazze. Il lago
una palude. Potresti morirne tu
che continui a rovistare nei ricordi
e se nel fondo delle tasche trovi briciole
non riesci poi a morderle.
Solo il gran baratro
conserva intatta la sua bellezza
ed è un monito
come l’attenti al cane sui cancelli
delle ville padronali.
Ho udito la tua voce e come allora
ho avuto paura sulla stretta via, la stessa
che pareva un’autostrada, la stessa dove
l’urlo dei freni ti colpiva
o il figlio del lattaio soccorrevi
col cuore in gola e già intuivi
che nulla porta al bene come il male.
Non ho pianto per senso del pudore,
quel sentimento sul quale ti accanisci
ore e ore, lasciandomi sorpreso.
Ti riconosco mentre attraversi il viale
e temi le formiche, le loro voci
e tutte le falene spaventate,
l’abbecedario dei caduti.
Non più saprai il brivido sottile
scivolo sulla colonna vertebrale
immensa scossa,
ma riconoscerai duna per duna
la tua fragile
radice d’ossa.
4
TRE LADRI
La notte
Siamo soli questa notte e circondati
da nuvole di fumo e da squillanti voci
che all’improvviso irrompono e devastano
gli arredi, le navate.
E’ tanto se arginiamo la ferita
col cemento dei muri, col grasso
respiro del sonno.
E nel silenzio non osano gli illesi
muoversi, non osano
i bimbi piangere poiché
è dei feriti l’urlo e per pochi
attimi di silenzio venderebbero
porzioni di costato, un lembo delle labbra.
E soli questa notte, non turbati
dalle sirene che annunciano la morte,
dal gioco disperato delle luci
possiamo ricostruire una vita e
per pochi grammi di silenzio vendiamo
la solitudine e i millenni,
le rare frasi palpitanti e informi
e nella notte feroci,
recalcitranti e destati
in un incubo di lacrime,
resa carcassa la nostra nobiltà,
urliamo.
5
L’ALBA
Sono tre le soluzioni credibili
e le intuisco osservando
le palpebre di mia figlia, la più piccola,
il corpo disteso di mia figlia maggiore,
il gomito rigido di mia moglie.
Elaborare il sonno, godere il sonno,
combattere col sonno.
All’alba i volti si narrano, i gesti scompongono
le imperfezioni, ci si scambia il dono dell’affetto
e il sorriso è un mercato di silenzi.
Chi sveglia il padre? Chi gli svela
che questa notte ha urlato?
6
IL GIORNO
La luce irrompe a strisce,
restituisce i corpi al giorno
divora, febbre degli arti, ingoia
il tempo del respiro, muove
la glottide cannibale, stira
le membra, ci precipita
nel multicolore dei vicoli inondati.
7
CARTOLINA
Potessi almeno quantificarti il niente
di questo dolore acuto senza luogo.